L'Infinito

L'infinito

Sempre caro mi fu quest'ermo colle,
e questa siepe, che da tanta parte
dell'ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quïete
io nel pensier mi fingo, ove per poco
il cor non si spaura. E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l'eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei. Così tra questa
immensità s'annega il pensier mio:
e il naufragar m'è dolce in questo mare.

Ecco una spiegazione multimediale de l'Infinito di G. Leopardi:


L'ascesa al Monte Tabor1, rifugio ideale del poeta, si configura in ultima analisi come uno studio visivo-prospettico degli elementi del paesaggio: la siepe che impedisce la vista dell'orizzonte e l'ostacolo percettivo che permette la fuga della mente dall'esperienza immediata dei sensi. Al di là della siepe si schiudono dunque spazi senza limite, silenzi profondi e pace assoluta, portatrice di sgomento, e indizio di quell'eternità a cui l'improvviso stormire del vento tra le fronde conduce il poeta, il cui io naufraga, cioè si annienta, fondendosi con l'universo. Così, tra la minaccia del silenzio (sovrumani / silenzi, e profondissima quiete / io nel pensier mi fingo, ove per poco / il cor non si spaura versi dal 5 all'8) e la presenza sonora della natura (E come il vento / odo stormir tra queste piante, versi 8 e 9), il pensiero afferra l'inafferrabile universalità dell'infinito, superando la contingenza.

Nonostante gli occasionali iperbati, sul piano sintattico, l'Infinito ha un giro di frase estremamente semplice ed essenzialmente basato sulla paratassi. Fra le poche proposizioni subordinate prevalgono peraltro le relative attributive esplicite o implicite e l'uso dei gerundi. L'intero componimento si articola in quattro lunghi periodi, di cui solo il primo e l'ultimo terminano effettivamente in fin di verso.
L'intera poesia è centrata su termini attinenti alla sfera semantica dell'indefinitezza: ne deriva la costruzione poetica di un nuovo tipo di misticismo, basato sull'immedesimazione dell'uomo con l'assolutezza dell'ordine di un universo regolato da una necessità inesorabile di per sé indifferente ai destini dell'individuo. Al confine fra morfologia e lessico, l'impiego dei pronomi dimostrativi "questo" o "quello", con le loro connotazioni locali, sottolinea un cammino di immedesimazione, definito secondo i gradi di una climax2 ascendente, che dai confini spaziali dell'ego ("quest'ermo colle e questa siepe" "queste piante") porta il poeta a fondersi con l'assoluto ("questa immensità", "questo mare") in un processo di indiamento3, che suggerisce in definitiva la presenza, nel poeta, di un teismo pratico ancorato a una visione panteistica della realtà: questo misticismo fa di Leopardi l'unico poeta italiano che abbia veramente saputo esprimere la dimensione interiore della Sehnsucht4 propria del romanticismo europeo. Più avanti, ai tempi della lirica A se stesso e dell'incompiuto Inno ad Arimane, conservatoci nello Zibaldone5, il Dio-Natura di Leopardi si preciserà una volta per tutte come un dio cattivo, in una visione che è stata designata con l'etichetta di pessimismo cosmico, e che in realtà sarebbe meglio indicare come negativismo ontologico6, il che porterà il poeta di Recanati a superare le visioni romantiche, anticipando tematiche tipiche del Novecento.
L'impiego dei pronomi dimostrativi che si riscontra nell'Infinito avrà un peso determinante nella poesia successiva, in particolare nell'evoluzione dello stile del primo Giuseppe Ungaretti.

Approfondimenti:

Bibliografia:

Sitografia:
http://it.wikipedia.org/wiki/L'infinito
http://www.italialibri.net/opere/infinito.html
http://www.homolaicus.com/letteratura/infinito/infinito.htm

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