Dicebas

Dicebas quondam solum te nosse Catullum,
    Lesbia, nec prae me velle tenere Iovem.
dilexi tum te non tantum ut vulgus amicam,
    sed pater ut gnatos diligit et generos.
nunc te cognovi: quare etsi impensius uror,
    multo mi tamen es vilior et levior.
qui potis est, inquis? quod amantem iniuria talis
    cogit amare magis, sed bene velle minus.

Dicevi che tu conosci solo Catullo,
Lesbia, e per me non vuoi possedere Giove.
Ti amai allora non tanto come il volgo un'amica,
ma come un padre ama i figli ed i generi.
Ora ti ho conosciuto: perciò anche se brucio troppo intensamente,
tuttavia mi sei molto più vile e leggera.
Come è possibile, ribatti? Perché una tale offesa
costringe ad amare di più, e a voler bene di meno.

Note:
prae me: letteralmente, davanti a me, in senso temporale, di solito.
gnatos: i nati, cioè i figli.
uror… vilior et levior: omoteleuto
talis… magis: omoteleuto
amantem… amare: figura etimologica.

Prae me tenere Iovem è un'iperbole: tenere davanti a me nemmeno Giove. Qui Catullo fa al distinzione fra due tipologie di relazioni. Amare e voler bene sono due verbi dissimili. l'uno propone un rapporto in cui vi è forte attrazione fisica, mentre nell'altro è superiore la componente razionale e il rapporto "platonico". Nella prima conta di più il corpo, nella seconda lo spirito, per questo Catullo può amare di più, a livello emotivo, la donna che lo tratta male, ma, razionalmente, la donna ha perso il suo fascino e il carisma agli occhi del poeta deluso.

Salvo diversa indicazione, il contenuto di questa pagina è sotto licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike 3.0 License